Un’azienda in Italia sta investendo sul gas sintetico

È Liquigas, che vuole sperimentare nuove tecnologie per il gnl e lo sviluppo di nuovi combustibili. I piani della società

La Germania, prima nazione d’Europa per economia e popolazione, vuole ridurre le sue emissioni di gas serra del 65% entro il 2030 e arrivare al loro azzeramento netto nel 2045, anticipando di ben cinque anni l’obiettivo comunitario della Commissione europea. Nell’immediato, tuttavia, non sembra poter fare a meno dei combustibili fossili: sta lavorando con una certa fretta alla costruzione di terminali di rigassificazione per il gas liquefatto (gnl), e di recente ha firmato un accordo di fornitura con il Qatar per quindici anni.

In realtà non esiste necessariamente una contraddizione tra la corsa della Germania all’accaparramento di gas e i piani di lungo periodo per la neutralità climatica. Berlino vuole infatti che i terminali vengano adattati per ricevere – forse già dal 2026 – ammoniaca e idrogeno, combustibili puliti che possono decarbonizzare le industrie e i trasporti pesanti. Convertire un impianto dal gnl all’idrogeno è però una fatica tecnica, oltre che una spesa non indifferente: le tubature, le cisterne e le pompe installate non vanno bene.

Ci sarebbe un’altra opzione, che non obbligherebbe a sostituire le strutture già presenti: il gas liquefatto sintetico. Lo si produce in laboratorio combinando atomi di idrogeno e carbonio; il risultato è il metano sintetico, che ha la stessa composizione chimica del gas tradizionale e può perciò venire liquefatto, trasportato via nave, lavorato nei terminali e immesso nella rete di distribuzione, senza dover cambiare nulla. “Il modo migliore per inquinare di meno è usare bene gli impianti che abbiamo a disposizione, e non solo costruirne di nuovi”, ha detto a Wired Andrea Arzà, amministratore delegato di Liquigas, società italiana che distribuisce gpl e gnl.

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Il contributo del biometano

Come la Germania, anche l’Italia si sta dotando di rigassificatori, e potrà eventualmente utilizzarli per l’idrogeno e il GNL sintetico importati dall’estero. Ma potrà anche fare affidamento su un contributo interno capace di circolare nei gasdotti esistenti: il biometano, ottenuto dalla frazione organica dei rifiuti urbani o dagli scarti dell’industria agroalimentare e zootecnica. Il Consorzio italiano biogas ne stima una produzione di 8 miliardi di metri cubi al 2030.

Noi di Liquigas – spiega Arzà – abbiamo l’obiettivo di partecipare alla distribuzione di metano da fonti bio, che coprirà una parte importante dei consumi nazionali di gas”, circa 73 miliardi di metri cubi all’anno in tutto. “Pur cambiando l’origine del metano, che non è più fossile ma biologica o sintetica, non è richiesta alcuna modifica infrastrutturale”, aggiunge.

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La cattura della CO2 e il gas “circolare”

Sia il metano sintetico che il biometano rilasciano anidride carbonica quando bruciati. Questa CO2 può tuttavia venire recuperata attraverso tecnologie apposite (ma ancora sperimentali) e immessa nuovamente nel ciclo produttivo, in modo da renderlo “neutro” dal punto di vista emissivo e “circolare”, perché prevede il riutilizzo delle risorse.

Gli Stati Uniti, attraverso l’Inflation Reduction Act, hanno stanziato incentivi importanti ai progetti di cattura della CO2 per stimolarne lo sviluppo commerciale. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) italiano, invece, non ha destinato fondi. Secondo Andrea Arzà, “se non teniamo aperto l’orizzonte della ricerca, sarà difficile risolvere il problema delle emissioni. Nessuno ha la soluzione, ma io credo che gli unici enti che abbiano le competenze e le modalità per trovarla siano le università, gli istituti di ricerca e le industrie”. Liquigas sta collaborando con Innovhub e con il Politecnico di Milano. “La politica – aggiunge – può rendere il percorso più semplice o più complicato, aumentando o diminuendo le possibilità di decarbonizzazione. Ridurre le opzioni per ideologia non è un approccio saggio”.

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L’ingrediente segreto

Dopo anni di ricerca, e grazie a un investimento di 1 miliardo di dollari, Shv Energy – il gruppo nederlandese di cui Liquigas fa parte al 100 per cento – conta di arrivare a produrre oltre 300mila tonnellate di dimetiletere rinnovabile (rDME) entro il 2027. Si tratta di un composto gassoso innovativo, ricavabile dalle biomasse, dai rifiuti organici, dalle plastiche non riciclabili o dalla CO2 catturata dagli stabilimenti che producono acciaio, alluminio e cemento. Miscelato al gpl in una quota del 20%, permette di ridurre fino all’85 per cento le emissioni generate dalle caldaie delle case, dai bruciatori delle fabbriche, dalle automobili e dai mezzi pesanti, senza modificare né gli impianti né la catena logistica.

L’rDME è una tecnologia low-carbon non alternativa, ma complementare all’elettrificazione del riscaldamento domestico e della mobilità. “Per la Commissione europea decarbonizzazione significa elettrificazione – dice Arzà -. La strada che proponiamo noi invece non esclude nessuno: pensiamo che ci debba essere una coesistenza tra settori diversi, e che ciascuno possa dare il suo contributo al taglio delle emissioni. Se però si vieta la vendita delle caldaie a gas e dei motori a combustione interna, tutti gli sforzi che l’industria degli idrocarburi sta facendo oggi per introdurre prodotti alternativi, come i biocarburanti e i combustibili sintetici, vengono meno”.

Liquigas non chiede sussidi statali per sviluppare le sue tecnologie, ma un contesto normativo che offra prospettive meno brevi. Dice l’ad: “Vorremmo poter contare su un periodo di tempo abbastanza lungo che ci permetta di programmare gli investimenti, attirare i finanziatori, rientrare delle spese”.

Fonte wired.it 

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