Benzinaio più caro d’Italia, la storia approda in Tribunale a Trani. La Ip: «Contratto risolto» L’ultima parola al giudice

La vicenda di Alfonso Centrone e suo fratello ha fatto il giro d’Italia. L’azienda rivuole le chiavi dell’impianto

La contesa giudiziaria tra il benzinaio «più cari d’Italia», Alfonso Centrone, e la società IP, proprietaria dell’ormai noto impianto di Trani, è arrivata ad un punto di svolta. Il 5 giugno, dinanzi al giudice del Tribunale di Trani, si è celebrata l’udienza nel corso della quale la IP ha chiesto la risoluzione del contratto nei confronti di Centrone e di su fratello, gestori dell’impianto, la restituzione delle chiavi. Di contro i gestori, difesi dall’avvocato Angelo Scuderi, si sono opposti alla richiesta dei legali della Italiana Petroli. Il giudice si è riservato la decisione, che potrebbe arrivare nelle prossime ore.

Da 30 anni al lavoro

Quella dei fratelli Centrone di Trani è una storia che ha fatto discutere tutta l’Italia. Da trent’anni gestivano l’impianto di distribuzione di carburanti situato in via Malcangi a Trani ma dal 2019 le cose non andavano bene poiché, a loro dire, la proprietà dell’impianto applicava costi elevatissimi per ogni litro di carburante, ben oltre il prezzo di mercato. Prezzi alti al punto da scoraggiare chiunque dal rifornirsi in quella stazione di servizio. Persino i gestori avevano dichiarato di fare rifornimento di carburante altrove, così come emerso da una video intervista dell’emittente Telenorba diventata virale. E così hanno scelto di non fare più approvvigionamento di carburante. Una decisione che ha portato la Ip a risolvere il contratto di somministrazione e comodato d’uso dell’impianto, a depositare l’autorizzazione al Comune di Trani e a presentare un ricorso urgente al tribunale per tornare in possesso dell’impianto stesso, lamentando un danno di immagine e contestando la presunta violazione di una clausola che obbliga i gestori all’acquisto di carburante dalla società. L’ultima parola adesso spetta al giudice.

Fonte bari.corriere.it  – Articolo di Giuseppe di Bisceglie

Exit mobile version