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«Benzina sopra i 2 euro al litro? Ecco perché i rialzi non sono finiti (e la colpa è dell’Opec)»

La benzina che supera quota 2 euro anche sulla rete stradale ordinaria, con il prezzo medio nazionale arrivato a 2,03 euro. Il gasolio a 1,938 euro ai massimi del 2023. E il Brent verso i 95 dollari al barile. Da quando a inizio luglio è stato eletto presidente dell’Unem, che rappresenta la filiera della raffinazione, della logistica e della distribuzione di prodotti petroliferi e low carbon, Gianni Murano si è trovato nel bel mezzo dei rincari dei carburanti. Le quotazioni del greggio sono previste in ulteriore crescita.

Che cosa ci aspetta?

«Posto che i rincari alla pompa sono dovuto all’aumento delle quotazioni internazionali e che i prezzi industriali (al netto delle accise, ndr) sono tra i più bassi d’Europa perché in Italia abbiamo ancora una grande capacità di raffinazione, lo scenario da qui a fine anno è quello di un’offerta di petrolio contenuta e di una domanda in crescita e quindi di prezzi in ulteriore crescita, a meno che la Cina non rallenti. L’Opec+ ha tagliato la produzione e messo in difficoltà la raffinazione. In aggiunta ci sono le sanzioni al greggio russo, che solo per il gasolio a livello europeo incidono per 600 mila barili giorno. La domanda globale attuale di petrolio è di oltre 102 milioni di barili al giorno, 1,5 milioni di barili in più a livello globale rispetto al pre-Covid, spinta soprattutto da benzina e da Jetfuel».

Dunque, se come atteso il petrolio salirà ancora, anche i carburanti aumenteranno. Avete soluzioni? 

«Gli interventi a pioggia sono più costosi e meno mirati, oggi la necessità è quella di dare una mano alle fasce più deboli. Ma spetta al governo decidere. Mentre sul fronte del prelievo fiscale sui carburanti che vale circa la metà del prezzo finale, dal 2008 esiste il meccanismo dell’accisa mobile, che riduce automaticamente l’Iva se il petrolio sale oltre un dato prezzo medio di riferimento. In base alla norma in vigore il meccanismo scatta se il prezzo del greggio è sopra a una data media del precedente bimestre, che in base all’ultimo Def di aprile è un Brent a 82,3 dollari al barile (77,4 euro/barile). Se le quotazioni restassero su questi livelli il meccanismo potrebbe scattare a inizio ottobre, fermo restando che a fine settembre con la revisione della Nadef i valori di riferimento potrebbero essere aggiornati».

Ma sul fronte della distribuzione che cosa si può fare per far scendere i prezzi, soprattutto in autostrada dove sono più cari?

«In autostrada si paga di più perché i distributori hanno costi più alti: hanno un costo del personale che è presente 24 ore su 24 e pagano le royalties al concessionario, mentre i ricavi si sono ridotti visto che l’erogato è diminuito di quasi il 70% negli ultimi 15 anni e che il guadagno sul venduto è di pochi centesimi al litro. C’è un problema di sostenibilità economica».

Avete proposte?

«Si potrebbe cambiare il regime concessorio, per esempio ripensando come calcolare le royalties e affidando anche il food all’operatore oil, con un’unica concessione per aumentare il giro d’affari. In alcuni casi esiste già questo modello. Ma serve anche ridurre il numero di distributori, e non solo in autostrada».

Che cosa intende?

«In Italia abbiamo 21.700 punti vendita, troppi. Vanno ridotti, in modo tale che abbiano più erogato. La riforma del settore è sul tavolo dei ministri Adolfo Urso e Gilberto Pichetto Fratin che hanno elaborato una proposta di legge, che però non è stata pubblicata e non ne conosciamo il contenuto».

Che cosa auspicate?

«Stimiamo che la rete sia efficiente con 15 mila distributori. Ne restano da chiudere settemila. Servono risorse anche pubbliche per consentire l’uscita o la riconversione dei lavoratori, sostenere i costi della bonifica (che variano tra 50 e 80 mila euro, ndr) e offrire la possibilità di trasformare dove possibile le stazioni in punti di ricarica elettrica o sfruttare i locali per vendere altri prodotti».

Ha detto che in Italia i prezzi industriali sono tra i più bassi d’Europa grazie alla capacità di raffinazione. Quali sono le prospettive?

«In Italia abbiamo undici raffinerie e due bio-raffinerie. Negli ultimi dieci anni abbiamo chiuso o trasformate cinque raffinerie, un processo che non è finito perché è in atto il passaggio ai biocarburanti. La raffinazione è un’industria di eccellenza nazionale e questo ci garantisce perché non dobbiamo importare troppi prodotti. Abbiamo una capacità di raffinazione di 87,2 milioni di tonnellate all’anno (dato 2022) a fronte di consumi interni attorno ai 58 milioni di tonnellate. Esportiamo per 28 milioni di tonnellate (soprattutto gasoli, benzina e olio combustibile), il doppio di quanto importiamo (prevalentemente gasoli, Gpl e biocarburanti). Con le sanzioni occidentali contro Mosca, da inizio anno abbiamo lavorato 21 tipi di grezzo per sostituire il petrolio russo. La sfida ora è quella di salvaguardare la catena di valore e al tempo stesso riconvertire, mantenere la capacità per soddisfare la domanda e dare spazio ai bio-carburanti».

Quanti investimenti farà il settore e per fare cosa?

«Abbiamo previsto 8-9 miliardi di euro di investimenti addizionali per la trasformazione dell’intera filiera, per potenziare la capacità produttiva dei biocarburanti avanzati e i recycled carbon fuels, per lo sviluppo dell’idrogeno verde e degli e-fuels, ma anche per la gestione delle emissioni all’interno delle raffinerie e la realizzazione di impianti per la cattura, stoccaggio e utilizzo della CO2. Ma questo si può fare se c’è disponibilità economica da parte delle aziende e le tasse sugli extra-profitti hanno assorbito 2,8 miliardi».

A proposito di biocarburanti, alcuni leader del G20, tra cui Giorgia Meloni, hanno lanciato l’Alleanza globale sui biocarburanti. L’Unione Europea al momento ha escluso i bio-fuel per autotrazione dal 2035.
«Bruxelles al momento considera i bio-carburanti per uso marittimo e aeronautico, ma noi sosteniamo che per la transizione sia necessario usare il criterio della neutralità tecnologica e non rinunciare al motore a combustione interna. Il governo italiano ne è ben consapevole, il G7 ha approvato utilizzo dei bio-carburanti e siamo fiduciosi che anche la Ue possa rivedere la sua decisione e includerli».

Fonte corriere.it – Articolo di Fausta Chiesa

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