L’accaparramento di gasolio in vista dell’inverno, dovuto principalmente al conflitto in Ucraina, ha innescato la spirale del prezzo anche in virtù degli impieghi per il riscaldamento e perfino per la possibile produzione di energia termoelettrica. E la situazione potrebbe anche peggiorare quando, il 5 dicembre, nuove sanzioni colpiranno il petrolio di Putin.
L’Italia viene ricacciata indietro di mezzo secolo, come ai tempi della “austerity”, quando strade e negozi potevano venire illuminati di meno, quando i programmi televisivi dovevano finire prima e quando la domenica non si poteva girare in auto. Era l’autunno del 1973 e oltre alla guerra fredda tra i blocchi occidentale e sovietico, il doppio attacco dell’Egitto a Israele teneva in apprensione l’Europa e il mondo con conseguenze sul sistema produttivo e sulla vita dei cittadini. La storia, almeno in parte, si ripete. E famiglie e automobilisti rischiano un autunno caldo (in senso metaforico) e un inverno freddo (in senso pratico).
Il governo ha prorogato la riduzione delle accise di 30 cent per calmierare il prezzo dei carburanti: Gpl, metano benzina e diesel. Assoutenti e Unione Nazionale Consumatori chiedono provvedimenti più lungimiranti al governo e non solo lo slittamento della scadenza dello “sconto” dal 5 al 17 ottobre. I rincari dei prezzi legati alla incertezze dell’invasione russa in Ucraina, alle speculazioni e al taglio della produzione da parte dei paesi Opec Plus (Russia, Messico, Kazakistan, Azerbaijan, Bahrein, Brunei, Malesia, Oman, Sudan e Sudan del Sud) hanno messo in difficoltà soprattutto chi era abituato a risparmiare sul pieno grazie ai listini più bassi del gasolio, che pure beneficia di un trattamento fiscale favorevole: 11 cent in meno di accisa per litro. Nel suo report annuale sulle tasse legate alle auto, l’ACEA, l’associazione dei costruttori di veicoli che operano in Europa, attribuiva all’Italia un prelievo di 728 e 641 euro per ogni mille litri di benzina e diesel sulla base di quello del 2021. Per la verde Finlandia (721) e Grecia (700) avvicinano il Belpaese e solo i Paesi bassi (824) lo superano, mentre per il gasolio il Belgio si ferma a 600 e la Francia a 594, ma nessuno va oltre l’Italia.
Alla pompa, il prezzo del diesel (le immatricolazioni di auto alimentate a gasolio sono in calo, ma nei primi 8 mesi hanno rappresentato comunque un quinto del totale, un quarto considerando anche le ibride) ha superato quello della benzina. In media, secondo le rilevazione della Staffetta Quotidiana, costa un decimo in più: 1,828 euro al litro in modalità self e 1,97 in modalità servito, comunque meno dei 2,15 euro che si pagano in Germania. In una intervista al quotidiano “Il Messaggero”, Claudio Spinaci, presidente dell’Unione Petrolifera, ossia l’associazione che rappresenta le maggiori aziende che in Italia si occupano di lavorazione, logistica e distribuzione dei prodotti petroliferi, ha spiegato le ragioni di questo fenomeno. Che è generalmente stagionale e che veniva compensato dalla minore tassazione, ma che quest’anno subisce gli effetti del conflitto in Ucraina. La differenza di prezzo tra benzina e diesel raggiunge generalmente fino a 4 centesimi, ma adesso è schizzata a 20 per effetto della “minore disponibilità di gasolio dovuta in larga parte al venir meno delle importazioni russe, da cui l’Europa dipende per circa il 30% del suo fabbisogno”.
L’accaparramento in vista dell’inverno ha innescato la spirale del prezzo anche in virtù degli impieghi per il riscaldamento e perfino per la possibile produzione di energia termoelettrica. La situazione potrebbe anche peggiorare quando, il 5 dicembre, nuove sanzioni colpiranno il petrolio di Putin con il rischio di bloccare l’attività della più grande raffineria d’Italia, la Isab di Priolo, in Sicilia, di proprietà della Lukoil, la maggiore compagnia petrolifera della Russia. “Se la raffineria cessa di operare avrà impatti gravissimi sull’occupazione e sulla nostra sicurezza energetica – ha ammonito Spinaci – Sono mesi che lanciamo appelli affinché la politica si faccia carico di un problema che assume rilievo nazionale dal momento che Isab rappresenta il venti per cento della capacità di raffinazione italiana ed è un importante produttore di gasolio, la cui mancanza creerebbe anche nel nostro Paese problemi di disponibilità”.
I rincari dei prezzi hanno garantito maggiori introiti alle società e la tassa sui cosiddetti extraprofitti (1,4 miliardi solo per Eni) ha fruttato un gettito molto inferiore a quello previsto dall’esecutivo guidato da Mario Draghi. All’appello mancherebbero almeno 9 miliardi: ci sono società che ritengono incostituzionale il provvedimento il cui ricavato è destinato a limitare gli aumenti delle bollette di luce e gas.
Fonte ilfattoquotidiano.it – Articolo di Mattia Eccheli